Donne
senza uomini

di Natalia Aspesi

 

 

Donne che sfuggono alla tirannia fosca degli uomini, al loro disprezzo iracondo, ai loro sguardi di imperio e possesso; donne che per tutto questo insensato dolore scelgono di separarsi dagli uomini, con la fuga, con la morte, o semplicemente col chador, quel funebre manto nero che per l' Occidente è un simbolo di esclusione e sottomissione, e che, lo capiamo dal bel film di esordio di Shirin Neshat, per le donne della società integralista islamica finisce per essere il rifugio in cui le donne si barricano per essere padrone dei loro pensieri e del loro corpo.

Donne senza uomini, Leone d' argento alla Mostra di Venezia 2009, presentato in anteprima al Museo d' Arte Moderna di Bologna, nei cinema dal 12 marzo, nasce da un romanzo di Sharnush Parsipur, proibito in Iran, e da una famosa installazione che ha girato varie gallerie, di Shirin Neshat, iraniana emigrata negli Stati Uniti, nota soprattutto come videoartista, vincitrice del premio internazionale alla 48ª Biennale di Venezia d' arte del 1999, sue foto quotate alle aste di Christie sino a 250 mila dollari.

Quattro donne di diverse classi sociali fuggono dagli uomini che devastano la loro vita: Munis, reclusa da un fratello religioso che le impedisce di ascoltare gli eventi politici alla radio, Zarin, giovane prostituta orrificata da quei maschi senza volto che la usano, Faezeh, che per aver sbirciato dentro un bar viene inseguita e violentata, Fakhri, una signora della buona società che non sopporta più il tronfio marito generale.

Teheran, agosto 1953, l' ennesima guerra del petrolio: Mossadegh, il primo e ultimo primo ministro iraniano eletto democraticamente , che ha osato nazionalizzare il petrolio, viene deposto c o n u n golpe voluto dalla Gran Bretagna e attuato dalla solita Cia, che instaurano una drammatica dittatura rimettendo sul trono lo Shah. «Quel tragico golpe che spense le speranze di un popolo, è direttamente responsabile della rivoluzione islamica del 1979. Eppure le speranze di libertà non si sono mai spente, e dopo le elezioni del giugno scorso ancora una volta gli iraniani si sono ribellati, milioni di giovani con la sciarpa verde hanno invaso strade e stadi con la loro grandiosa protesta. Hanno di nuovo perso, ma ritenteranno».

Gli arresti però continuano e il suo collega Jafar Panahi, che stava realizzando un film sulla rivolta verde, è stato arrestato. Anche lui fu premiato a Venezia con il Leone d' oro nel 2000, per Il cerchio, che ci rivelava la realtà della condizione femminile in Iran.

Non c' è film che venga dall' Iran in cui il chador, prigione e rifugio della donna islamica, non diventi un elemento di grande emozione visiva: lo è anche per Shirin Neshat che come videoartistae regista ne ha fatto un segno di separazione di classe e di identità politica: nel film non lo portano le signore della buona società imperiale, che vestono alla parigina, si avvolge in un chador improvvisato con un lenzuolo, come fosse un manto regale, la piccola prostituta in fuga, fluttua nell' aria come un sudario il nero chador che precede il volo suicida della ragazza cui la morte concede la libertà di immaginarsi a fianco della rivolta, se ne libera la ragazza pia che se lo stringeva sempre addosso e che sognava solo di sposarsi vergine.

L' uomo di cui è innamorata e che ha sposato un' altra, la vuole come seconda moglie e la invoglia dicendo, «La prima ti farà da serva». E lei, «Poi alla terza la serva la farò io?». E se ne va sola, chissà verso quale futuro, donna finalmente senza uomini, quegli uomini.

Le immagini, visionarie, oniriche, realistiche, forti, fiabesche, sono incantevoli, struggenti; dal bianco e nero forti sfumano nei colori più delicati, dai cieli immensi e tersi si chiudono su intricati e desolati boschi, il silenzio assoluto si alterna alla musica sentimentale di Sakamoto. Lontani ormai i vicoli sgretolati e minacciosi della città dove la rivoluzione si è spenta, anche la villa misteriosa difesa da un giardino lussureggiante e fatiscente, che per le donne in fuga era diventata il luogo della solidarietà, dell' esilio e della libertà, resterà vuota.

Repubblica, 06 marzo, 2010